L’oggetto della odierna disamina è l’istituto previsto dall’art. 32 e ss. del D.lgs. n. 151/2001, ossia l’indennizzo per il c.d. “Congedo Parentale”, istituto previsto in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, recentemente ampliato dal Governo nei decreti-legge, n. 18/2020 c.d. “Cura Italia” e n. 34/2020 c.d. “Rilancio”.
L’istituto in parola, trova la sua ratio nel consentire ad entrambi i genitori di poter usufruire di congedi al fine di accudire la prole, agevolandoli rispetto alle esigenze di lavoro, al fine di gestire al meglio la vita familiare.
Il D.lgs. n. 151/2001 è rubricato come “Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma dell’articolo 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53” ed ha previsto, all’art. 32 del titolo V, uno specifico congedo, definito appunto: “Congedo parentale (legge 30 dicembre 1971, n. 1204, articoli 1, comma 4, e 7, commi 1, 2 e 3). 1. Per ogni bambino, nei primi suoi dodici anni di vita, ciascun genitore ha diritto di astenersi dal lavoro secondo le modalità stabilite dal presente articolo. I relativi congedi parentali dei genitori non possono complessivamente eccedere il limite di dieci mesi, fatto salvo il disposto del comma 2 del presente articolo. Nell’ambito del predetto limite, il diritto di astenersi dal lavoro compete: (33) ((35)) a) alla madre lavoratrice, trascorso il periodo di congedo di maternità di cui al Capo III, per un periodo continuativo o frazionato non superiore a sei mesi; b) al padre lavoratore, dalla nascita del figlio, per un periodo continuativo o frazionato non superiore a sei mesi, elevabile a sette nel caso di cui al comma 2; c) qualora vi sia un solo genitore, per un periodo continuativo o frazionato non superiore a dieci mesi…omissis…”.
Con il decreto-legge n. 18/2020, “Misure di potenziamento del Servizio sanitario nazionale e di sostegno economico per famiglie, lavoratori e imprese connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19” (decreto-legge convertito con modificazioni dalla L. 24 aprile 2020, n. 27 in S.O. n. 16, relativo alla G.U. 29/04/2020, n. 110), all’art. 23: “Congedo e indennità per i lavoratori dipendenti del settore privato, i lavoratori iscritti alla Gestione separata di cui all’art. 2, comma 26 della legge 8 agosto 1995, n. 335, e i lavoratori autonomi, per emergenza COVID -19” si incrementa di ulteriori 30 giorni, dal 5 marzo al 31 luglio 2020, il permesso, al fine di agevolare quelle famiglie, nelle quali i figli, a causa del lockdown, erano stati privati della possibilità di frequentare la scuola ed avevano quindi la necessità improrogabile di essere accuditi e vigilati.
Il succitato art. 23, così recita: “1. Per l’anno 2020 a decorrere dal 5 marzo e sino al 31 luglio 2020, e per un periodo continuativo o frazionato comunque non superiore a trenta giorni, i genitori lavoratori dipendenti del settore privato hanno diritto a fruire, ai sensi dei commi 10 e 11, per i figli di età non superiore ai 12 anni, fatto salvo quanto previsto al comma 5, di uno specifico congedo, per il quale è riconosciuta una indennità pari al 50 per cento della retribuzione, calcolata secondo quanto previsto dall’articolo 23 del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, ad eccezione del comma 2 del medesimo articolo. I suddetti periodi sono coperti da contribuzione figurativa”.
La norma è confermata anche dal decreto-legge n. 34/2020, c.d. “Rilancio” e, come per il precedente, viene estesa anche al pubblico impiego: “Congedo e indennità per i lavoratori dipendenti del settore pubblico, nonché bonus per l’acquisto di servizi di baby-sitting per i dipendenti del settore sanitario pubblico e privato accreditato, per emergenza COVID -19”, art. 25, comma 1; A decorrere dal 5 marzo 2020, in conseguenza dei provvedimenti di sospensione dei servizi educativi per l’infanzia e delle attività didattiche nelle scuole di ogni ordine e grado, di cui al Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 4 marzo 2020, e per tutto il periodo della sospensione ivi prevista, i genitori lavoratori dipendenti del settore pubblico hanno diritto a fruire dello specifico congedo e relativa indennità di cui all’articolo 23, commi 1, 2, 4, 5, 6 e 7. Il congedo e l’indennità di cui al primo periodo non spettano in tutti i casi in cui uno o entrambi i lavoratori stiano già fruendo di analoghi benefici”.
Ciò posto, la cosa che però, anche nella versione originale, lasciava e lascia ancora dubbi interpretativi rispetto all’uso corretto del congedo, riguarda due aspetti non certo marginali:
il primo, riferibile al computo delle giornate del sabato (non lavorativo) e della domenica frapposte tra due settimane contigue di congedo parentale per il medesimo figlio;
il secondo, riguarda il medesimo periodo di congedo, ma la seconda settimana estesa al secondo figlio.
Rimane invariata la modalità di fruizione nel caso in cui si consumi solo una settimana di congedo parentale: il sabato non lavorativo, la domenica e le feste non sono computate.
In merito al primo quesito, il CCNL comparto sanità 2016/18, all’art. 45, comma 5, dispone che: “I periodi di assenza di cui ai commi 3 e 4, nel caso di fruizione continuativa, comprendono anche gli eventuali giorni festivi che ricadano all’interno degli stessi. Tale modalità di computo trova applicazione anche nel caso di fruizione frazionata, ove i diversi periodi di assenza non siano intervallati dal ritorno al lavoro del lavoratore o della lavoratrice”.
Quindi, tra due periodi di congedo parentale di due settimane per il medesimo figlio, per non far consumare il congedo anche nella domenica e nella festa, bisogna entrare in servizio almeno il giorno prima e precisamente:
il sabato se è lavorativo;
il venerdì se il sabato non è lavorativo.
Può succedere che il lavoratore fruisca non solo del congedo parentale, ma anche di altri istituti (es. ferie, malattia, infortunio, ecc.).
Cosa succede in questo caso?
Nel caso in cui la prima settimana sia di congedo parentale (o parte d’essa, ma compreso il venerdì se il sabato non è lavorativo, o il sabato se è lavorativo) e la seconda settimana (o parte d’essa) sia di altro istituto (ferie, malattia, ecc.), il sabato non lavorativo, la domenica e i festivi non debbono essere computati nel congedo parentale.
A tal proposito, sia il messaggio INPS 18 ottobre 2011 n. 19772 che il parere ARAN SCU_112_Orientamenti Applicativi, confermano l’ipotesi più volte espressa dall’AADI, estensibile ovviamente anche al comparto sanità, rispetto alla quale, l’AADI ha sempre dato una interpretazione profetica della corretta esegesi normativa, del tutto corretta ed in linea con le recenti pronunce giudiziarie e i pareri sopra espressi , anche dopo la novella contrattuale 2016/18 che ha ripreso le precedenti definizioni.
Il messaggio INPS n. 19772 del 18 ottobre 2011, chiarisce le linee di indirizzo che le pubbliche amm.ni debbono seguire nell’interpretare correttamente l’istituto, facendo degli esempi chiari, concisi e schematici.
Anche il parere dell’ARAN va nella stessa direzione, ampliando persino il contesto ed aggiungendo il caso nel quale il congedo venga chiesto anche per un secondo figlio unitamente al congedo richiesto per il primo.
A tal proposito è doveroso fare alcuni esempi che possano essere di aiuto a coloro i quali debbono interpretare l’istituto ed applicarlo correttamente.
Per semplicità di elaborazione si prenderà ad esempio solo il lavoratore che effettua la settimana corta dal lunedì al venerdì sabato escluso:
Esempio 1: settimana unica, congedo parentale dal lunedì al venerdì con ripresa dell’attività lavorativa il lunedì successivo – il sabato e la domenica o festivi non vanno computati e quindi non vanno conteggiati nel congedo parentale;
Esempio 2: prima settimana, congedo parentale dal lunedì al venerdì, seconda settimana ferie, congedi straordinari, malattia, ecc. – il sabato, la domenica e i festivi non vanno computati;
Esempio 3: prima settimana, congedo parentale dal lunedì al giovedì, venerdì ferie, lunedì della settimana successiva congedo parentale, il sabato e la domenica in questa circostanza non verranno computati (perché le ferie si ritengono finctio prestatoris cioè come se fosse una giornata lavorata);
Esempio 4: da lunedì a mercoledì ferie, giovedì congedo parentale, venerdì lavoro, lunedì successivo fino a mercoledì congedo parentale, il sabato e la domenica non verranno computati poiché il venerdì lavorato interrompe il congedo.
Questi sono solo alcuni degli esempi nei quali è possibile usufruire del congedo parentale senza la necessità di dover ricomprendere anche il sabato e la domenica e quindi perdere due giorni di congedo utili ai fini del computo totale.
Anche l’ARAN, infatti, ha espresso il medesimo parere, considerando il congedo parentale per due figli, come due istituti diversi e quindi non sovrapponibili.
I genitori potranno assentarsi entrambi dal lavoro se ognuno fruirà del congedo per un figlio diverso, altrimenti, la fruizione sarà alternativa: se fruisce un genitore per un periodo, non può fruirne l’altro.
Comunque, l’Associazione Avvocatura Degli Infermieri è a disposizione dei propri associati per qualsiasi consulenza in merito.
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