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L’Azienda Ospedaliera paga il danno biologico all’infermiere che ha subito l’aggressione in pronto s

Commento a Cassazione sez. lavoro, 12 giugno 2017, n. 14566

Se durante il proprio turno di servizio si subiscono lesioni a seguito delle percosse ricevute da un parente o da un paziente, l’azienda ospedaliera datrice di lavoro è obbligata al risarcimento del danno non patrimoniale  – morale, professionale, biologico – questo è quanto affermato nella sentenza del giudice di Appello della  città di Palermo.

La corte di Appello di Palermo con sentenza n. 160 del 2011, confermava la sentenza del giudice di prime cure n. 1533 del 24 marzo 2006, tra l’infermiere T. e l’azienda ospedaliera di Palermo.

L’infermiere T. a seguito dell’aggressione subita il giorno 8 agosto 2002 durante l’orario di servizio, ha chiesto il ristoro dei danni derivatigli: morale, professionale, patrimoniale e biologico.

Neanche la cessione dell’attività dell’azienda ospedaliera ad altra azienda a seguito della legge regionale Siciliana n. 5 del 2009, ha impedito il ristoro dei danni subiti, il lavoratore infatti ha chiesto di essere autorizzato a convenire in giudizio la subentrata azienda ospedaliera.

Costituitasi in giudizio, l’’azienda ospedaliera subentrante “Ospedali riuniti” ha eccepito l’inammissibilità dell’appello per l’avvenuta estinzione del giudizio.

La Corte di Appello ha ritenuto non fondata l’eccezione di estinzione del giudizio per omessa interruzione del giudizio ex art. 300 c.p.c., disattendendo anche l’eccezione di nullità del ricorso di primo grado.

Nel merito rigettava l’appello del lavoratore deducendo che pur se non vi fosse occasionalità degli episodi come quello subito dall’infermiere, deve però considerarsi che è inattuabile la predisposizione di mezzi di tutela di portata oggettivamente idonea ad elidere o anche a solo ridurre il rischio di aggressione fisica al personale infermieristico in servizio presso il pronto soccorso, tenuto conto della specificità del lavoro, che implicando necessariamente il contatto fisico con i pazienti finalizzato a prestare cure urgenti, non consente di frapporre, tra l’utente e il lavoratore, barriere protettive, e della natura del comportamento di aggressione, che,  manifestandosi all’improvviso e consumandosi  in un breve arco temporale, è difficilmente prevedibile e prevenibile. Né per altro l’infermiere T. ha indicato misure concretamente idonee a impedire l’evento.

Afferma inoltre la Corte di Appello che l’aggressione è avvenuta da parte di un paziente nel mentre costui veniva trasportato in barella nella sala visite, dopo dieci minuti dall’avvenuta registrazione, pertanto sull’aggressione non aveva inciso l’inadeguatezza dell’organico che può costringere a lunghe attese. Era per altro anche ininfluente l’assenza del carabiniere di servizio presso il posto fisso o di un servizio di sorveglianza privata che, a meno di ipotizzare un irragionevole obbligo di vigilanza interna durante le visite dei pazienti, poteva solo essere esterna al luogo dell’aggressione

L’infermiere ricorre in Cassazione prospettando 4 motivi di ricorso.

Con il primo motivo di ricorso è dedotta la violazione degli artt. 2087, 2043 e 2059 cod. civ., art 32 Cost..

E’ onere del datore di lavoro provare di aver adottato tutte le misure idonee a tutelare l’integrità del lavoratore.

Il contenuto precettivo dell’art. 2087 cod. civ. è tale da ricomprendere l’obbligo di adozione delle misure a ciò idonee e il datore di lavoro deve dimostrare, non solo l’adozione delle misure necessarie a tutelare l’integrità del lavoratore, ma di aver vigilato sulla loro osservanza, cose a cui l’azienda sanitaria non aveva ottemperato, limitandosi a sostenere l’eccezionalità dell’evento.

L’azienda non ha provato l’adempimento delle c.d. obbligazioni di protezione del lavoratore e di aver adottato, nell’esercizio della propria attività, tutte le misure che, secondo la particolarità del lavoro e le regole di esperienza, costituiscono rimedi validi a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale del prestatore di lavoro.

Con il secondo motivo di ricorso lamenta  violazione e falsa applicazione degli artt. 1218, 1175 e 1176 cod. civ., in quanto la corte di appello avrebbe erroneamente escluso la colpa del datore di lavoro quale presupposto generale della responsabilità contrattuale , disattendendo la relativa disciplina, atteso che non poteva  dirsi che lo stesso  non fosse a conoscenza delle insicure condizioni in cui i medici e gli infermieri assegnati al pronto soccorso erano costretti a svolgere la propria attività lavorativa, sicché il datore di lavoro era tenuto ad adoperarsi per garantire l’ obbligo di tutela, assolvendo all’obbligo di diligenza di cui all’art. 1176 cod. civ..

La corte di appello decideva la controversia solo in ragione delle affermazioni del datore di lavoro, senza considerare quanto dedotto dal lavoratore, né avere ammesso i mezzi di prova articolati dallo stesso.

La Cassazione in merito ai motivi sottesi il ricorso così si esprime.

Ritiene il primo motivo di ricorso fondato, infatti,  determinando erroneamente un’inversione dell’onere della prova, la Corte di Appello ha affermato che in tema di violazione delle disposizioni di cui all’art. 2087 cod., civ., la parte che subisce l’inadempimento ha l’onere di allegare, quindi di dimostrare che l’asserito debitore ha posto in essere un comportamento contrario alle misure che nell’esercizio dell’impresa, debbono essere adottate per tutelare l’integrità fisica e la personalità morale del prestatore di lavoro.

La Corte ha più volte affermato l’obbligo di protezione di cui all’art. 2087 cod. Civ., che impone all’imprenditore di adottare, non soltanto le misure tassativamente prescritte dalla legge in relazione al tipo di attività esercitata, che rappresentano lo standard minimale fissato dal legislatore per la tutela della sicurezza del lavoratore, ma anche le altre misure richieste in concreto dalla specificità dei rischi connessi tanto all’impiego di attrezzi e macchinari, quanto all’ambiente di lavoro.

Al fine dell’accertamento della responsabilità del datore di lavoro per un infortunio sul luogo di lavoro, la responsabilità del datore di lavoro di cui all’art. 2087 cod. civ.  è di natura contrattuale. Ne consegue che, ai fini del relativo accertamento, incombe sul lavoratore che lamenti di aver subito un danno alla salute a causa dell’attività lavorativa svolta, l’onere di provare l’esistenza del danno, come pure la nocività dell’ambiente di lavoro, nonché il nesso tra l’una e l’altra condizione, mentre grava sul datore di lavoro – una volta che il lavoratore abbia provato le predette circostanze –  l’onere di provare di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno, ovvero di aver adottato tutte le cautele necessarie per impedire il verificarsi del medesimo danno (Cass. n. 3788 del 2009, n. 2209 del 2016).

Il motivo del ricorso incidentale che riguarda l’intervento della legge regionale Sicilia n. 5 del 2009 non è fondato, sussistendo comunque ai fini liquidatori la permanente soggettività anche della neo-costituita  azienda provinciale sanitaria e AUSL.

Inoltre sussiste la legittimazione passiva del datore di lavoro in ordine alla responsabilità per violazione dell’art. 2087 cod. civ. ; diverso è il profilo della determinazione del danno risarcibile, nel quale assume rilievo la tematica del danno differenziale.

La Corte accoglie quindi il ricorso principale (dell’infermiere), rigetta il ricorso incidentale (dell’azienda) cassa la sentenza impugnata in relazione al ricorso principale accolto ai sensi di cui alle motivazioni e rinvia anche per le spese del presente giudizio alla Corte di Appello di Palermo.

La Suprema Corte decide quindi di ribaltare il verdetto del merito: la richiesta di risarcimento è fondata. Il giudice di secondo grado ha sbagliato ad addossare al lavoratore l’onere di provare l’inadempimento del datore. La sezione lavoro ricorda che «l’obbligo di prevenzione di cui all’articolo 2087 cod. civ. impone all’imprenditore di adottare non soltanto le misure tassativamente prescritte dalla legge in relazione al tipo di attività esercitata, che rappresentano lo standard minimale fissato dal legislatore per la tutela della sicurezza del lavoratore, ma anche le altre misure richieste in concreto dalla specificità dei rischi connessi tanto all’impiego di attrezzi e macchinari, quanto all’ambiente di lavoro». In tal senso, la sentenza della Corte territoriale mostra lacune che debbono necessariamente essere colmate.

                                                        Dott. Carlo Pisaniello

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