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La ripetuta assenza del lavoratore alle visite di controllo dell’INPS costituisce giusta causa di li

Ancora una volta la Suprema Corte sancisce il dovere del lavoratore ancorché malato di farsi trovare reperibile presso la propria abitazione per la verifica dello stato di malattia.

La questione riguarda un dipendente delle Poste SPA con qualifica dirigenziale il quale aveva ripetutamente inviato certificazioni di malattia in più occasioni, verso le quali il datore di lavoro aveva inviato regolare informativa all’INPS che ha di regola effettuato gli accertamenti di rito.

In tre delle quattro occasioni il dipendente aveva prodotto regolare certificazione che attestava che la sua assenza dal domicilio era dovuta a visite specialistiche effettuate in coincidenza dell’orario di controllo (10-12 e 15-17).

Nell’ultima visita di controllo però, il lavoratore non ha giustificato in modo congruo l’assenza dal domicilio durante le fasce orarie di reperibilità in costanza di malattia, tale da costituire giusta causa di licenziamento.

Il lavoratore non ha provveduto a fornire una adeguata dimostrazione della propria improcrastinabile esigenza di assentarsi per concomitanti e indifferibili esigenze, ricorda infatti la Suprema Corte che l’art. 5 della L. n. 638/83 impone al lavoratore un onere al rapporto assicurativo ed un obbligo accessorio alla prestazione lavorativa, la cui sanzione può essere evitata solo se il lavoratore dimostra con prova che grava sul lavoratore stesso, il ragionevole impedimento alla presenza presso la propria abitazione.

Allo scopo di giustificare l’assenza dal domicilio nelle fasce di reperibilità, prosegue la Cassazione, non è sufficiente che il dipendente produca un certificato medico che attesti l’effettuazione di una visita specialistica nella medesima fascia oraria, essendo necessario che il lavoratore dimostri che tale visita non poteva essere effettuata in altro momento della giornata.

Per altro la Corte territoriale aveva anche esaminato la relazione medico legale consegnata dal ricorrente ai fini giustificativi dell’illecito, traendo che neppure da questa poteva evincersi la necessità di abbandonare il domicilio per effettuare la visita specialistica, poiché lo stesso specialista affermava che tali attività potevano ben essere svolte previo accordo orario e su appuntamento concordato.

Inoltre la corte ha tenuto conto dei reiterati comportamenti del lavoratore intesi ad assentarsi sempre e comunque in concomitanza delle fasce di reperibilità, per altro già sanzionate con una multa e una sospensione, comportamento che la Corte territoriale ha per forza dovuto considerare ai fini del giudizio di gradualità e proporzionalità in rapporto alla sanzione ben più grave che è quella espulsiva.

Sulla scorta di questi principi la Corte ha confermato la sentenza resa dalla Corte d’appello di Catania, la quale aveva a sua volta confermato la sentenza resa in primo grado sulla validità del licenziamento intimato da Poste Italiane nei confronti del direttore dell’ufficio postale.

Alla luce di questi presupposti fattuali, ritiene la Corte di cassazione che il licenziamento disciplinare irrogato al lavoratore costituisca una misura proporzionata rispetto alle svariate assenze alla visita domiciliare, in quanto, benché le prime tre assenze fossero state seguite dalla allegazione di visite specialistiche, non era stato provato dal lavoratore che le suddette costituissero una misura necessaria e non differibile ad altri orari fuori dalle due fasce di reperibilità previste dal contratto collettivo applicato al rapporto di lavoro.

Il direttivo AADI

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