Commento a Cassazione sez. Lavoro 4826 del 24 febbraio 2017
A nulla è valso il tentativo del dipendente di dimostrare che la macchinetta marcatempo era malfunzionante, anche adducendo la prova delle firme apposte sul modulo di mancata timbratura, poiché non controfirmate dal dirigente.
Il caso vede un impiegato di un Comune impugnare, con ricorso alla Corte territoriale, la sentenza del giudice di prime cure che aveva confermato il licenziamento per giustificato motivo soggettivo in ragione delle numerose assenze ingiustificate.
In particolare, la corte territoriale aveva ritenuto che, a fronte delle prove documentali delle contestazioni disciplinari già irrogate, nessuna delle giustificazioni addotte fosse rilevante, né quella della necessità di assentarsi per assistere i genitori malati, né la mancata affissione del codice disciplinare, tantomeno il malfunzionamento della macchina marcatempo.
Il malfunzionamento dell’apparecchiatura risultava anche dalla testimonianza di alcuni colleghi dell’impiegato, ma la corte territoriale competente aveva preso atto di tali testimonianze e del fatto che lo stesso impiegato aveva compilato negli anni fogli di mancata timbratura o di ritardo, ai quali però il dirigente non aveva mai apposto la firma. Tale fatto non lo legittimava ad assentarsi o ad uscire prima dal lavoro, di conseguenza il giudice di prime cure bene aveva fatto a non considerare il malfunzionamento della macchina marcatempo, in quanto, ai fini della decisione, non rilevava e giustificava tale comportamento.
Il gravame lamentato poi dal ricorrente in merito alla mancata affissione del codice disciplinare è stato dalla Corte territoriale giustamente cassato, poiché non sorretto da critiche giuridiche specifiche contro la decisione del giudice di prime cure -che peraltro la Suprema Corte condivide-, ma sterilmente riproposto argomentando con una diversa tesi giuridica che le norme etiche o penali acquisterebbero rilievo solo in quanto pubblicizzate o codificate.
La Suprema Corte evidenzia che, la necessità della pubblicità non può riguardare un comune minimo etico e le fondamentali norme di ordine penale, come, peraltro, affermato in più occasioni (Cass. n. 22626 del 2013; Cass. n. 1926 del 2011), secondo cui: in materia di licenziamento disciplinare, il principio di necessaria pubblicità mediante affissione in luogo accessibile a tutti, non si applica nei casi in cui il licenziamento sia irrogato per sanzionare condotte del lavoratore che contrastano con il c.d. “minimo etico” o contro norme penali.
Per questi motivi il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, la Corte condanna il ricorrente alle spese di giudizio confermando il licenziamento disciplinare.
Dott. Carlo Pisaniello
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