Sembra un film dell'orrore e invece è la verità.
Durante un'istruttoria disciplinare condotta dall'AADI di Roma a favore di un'infermiera accusata di non aver rimosso dei lacci di scarpe che tenevano chiuse le porte di una stanza di degenza dedicata all'isolamento Covid e di non averle sostituite con delle catene e chiuse con una sorta di lucchetto, l'Ufficio legale dell'AADI ha scoperto altri fatti raccapriccianti.
Le stanze dedicate al Covid si trovavano all'interno di un reparto di medicina generale e, quindi, per impedire ai pazienti di uscire dalla stanza e incontrare gli altri pazienti NO COVID, la casa di cura ha pensato bene di incatenare le porte e chiudere dentro i pazienti.
Non si comprende come abbia fatto la Regione Lazio ad autorizzare tale sistema, ma la cosa ancora più assurda è che una di queste stanze era priva di servizi igienici per cui tutti i pazienti ricoverati all'interno, giovani e meno giovani, ma autosufficienti, erano costretti ad indossare un pannolone e chiamare al bisogno il personale sanitario per farsi pulire ad ogni deiezione.
La casa di cura non solo ha ammesso di utilizzare tali sistemi non molto ortodossi e sicuramente umilianti, ma anche punito l'infermiera colpevole di aver rimosso una catena che chiudeva una stanza di degenza con tre giorni di sospensione senza stipendio.
La casa di cura, nonostante le minacce di denunciare tali fatti alle Autorità competenti da parte dell'AADI, ha continuato a perseguire la propria politica intimidatoria, punendo chiunque si lamentasse del trattamento riservato ai pazienti Covid.
Ora l'AADI, a firma del Dirigente Mauro Di Fresco, ha presentato la denuncia per diversi reati ipotizzati sia al NAS che al dipartimento di prevenzione sanitaria del Ministero della salute ed ha impugnato la sospensione davanti l'Ispettorato del lavoro.
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