Commento a Cassazione 3^ sez. civile n. 29333 del 7 dicembre 2017
La Corte di Cassazione ritiene corretta la liquidazione di 200.000,00 euro per risarcire il danno parentale e il dolore (per una morte verificatasi per cause naturali) che i genitori hanno dovuto affrontare a causa della mancata diagnosi delle malformazioni e della consequenziale mancata interruzione della gravidanza.
Due genitori hanno convenuto in giudizio il medico ecografista, deducendo che la loro bambina era morta dopo un anno di vita, a seguito di una malattia congenita (sindrome di Goldenhar), associata a gravi malformazioni strutturali e funzionali non diagnosticata durante la gravidanza mediante l’esame ecografico del feto.
Inoltre, all’esito dell’ecografia effettuata alla 22^ settimana di gestazione, l’ecografista non aveva rilevato anomalie, avendo tuttavia omesso di effettuare alcune visualizzazioni e misurazioni intrauterine che avrebbero consentito di riscontrare le gravi malformazioni che la bambina aveva poi presentato alla nascita.
Lamentano poi che la mancata diagnosi aveva impedito di fatto alla madre di autodeterminarsi in ordine ad una eventuale interruzione della gravidanza e che la nascita della bambina così gravemente malformata e le sue penose condizioni di salute durante l’anno di permanenza in vita avevano determinato gravi sofferenze sia alla piccola che ai genitori.
I genitori inoltre, hanno dedotto in giudizio di aver subito anche pregiudizi alla propria integrità psico-fisica, infatti la madre, in particolare, aveva dovuto, per assistere in modo completo la propria bambina, abbandonare il proprio lavoro.
A seguito di tali danni hanno chiesto pertanto la condanna del medico ecografista al risarcimento di tutti i danni conseguiti all’omessa diagnosi della patologia.
Il medico ecografista controricorrente, chiamò in giudizio per l’eventuale manleva la propria assicurazione nuova Sai e MAA le quali anch’esse si costituirono in giudizio.
In Appello il medico ecografista viene riconosciuto responsabile civile e viene condannato al risarcimento di 141.436,00 € più accessori e spese di giudizio, disponendo la manleva in favore delle due assicurazioni nelle rispettive quote contrattualmente previste.
I genitori della bimba morta non ritenendo il risarcimento danno sufficientemente congruo, propongono ricorso per cassazione, il medico e le assicurazioni si costituiscono con controricorso.
Col primo motivo, i ricorrenti denunciano la violazione e la falsa applicazione degli artt. 1223, 2043 e 2059 cod. civ. e l’omesso esame di un fatto decisivo, nonché “motivazione apparente e contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili della motivazione”: lamentano infatti una liquidazione incongrua dei danni subiti iure proprio, evidenziando come la Corte abbia risarcito il solo “danno parentale”, trascurando tutte le altre voci di danno richieste; premesso che gli attori avevano chiesto “il risarcimento di tutti i danni conseguenti alla nascita indesiderata della piccola e non già solamente quelli conseguenti alla morte della bambina”, evidenziano che non risultano risarciti il danno correlato alla preclusione del diritto ad interrompere la gravidanza (che aveva esposto i genitori alla shock di veder nascere la figlia affetta da gravissime malformazioni) e i conseguenti pregiudizi attinenti ai profili del danno biologico, del danno morale subiettivo e del danno esistenziale.
Passando alla “concreta liquidazione del danno non patrimoniale”, “da effettuarsi comunque in via equitativa” la Corte ha ritenuto di dover “ancorare il criterio di riferimento, e tanto al fine di evitare liquidazioni arbitrarie, a quello da perdita parentale, seppur contemperato al caso di specie», dovendosi «considerare che la bambina sarebbe comunque morta in un breve arco temporale in quanto predisposta geneticamente all’esito”; assunto come base risarcitoria un valore di 200.000,00 euro (vicino al minimo di 163.000,00 euro previsto dalle tabelle del Tribunale di Milano), ha ritenuto di dover “attribuire alla madre l’importo che ordinariamente si liquiderebbe, nel 60% ed al padre nel 40%, e quindi euro 120.000,00 e 80.000,00”, spiegando che “la differenza nella liquidazione equitativa del danno per i due genitori si fonda sulla considerazione della preminenza del dolore della madre e tanto non solo per la facoltà che la normativa le dava nella scelta di proseguire o interrompere la gravidanza, ma per il naturale svilupparsi dell’istinto materno già nel corso della gestazione e per l’intensità del dolore psichico legato alle
malformazioni del prodotto del concepimento tali da portare alla morte il proprio figlio, che anche inconsciamente una madre ricollega ad una propria responsabilità”.
Va infatti considerato, che la Corte ha dato atto, in modo puntuale, di ogni aspetto del pregiudizio (non solo il dolore collegato alla morte della figlia, ma anche la privazione della possibilità di interrompere la gravidanza, le sofferenze patite per la nascita malformata e per le penose condizioni della bambina durante l’anno in cui era rimasta in vita, nonché lo stato di malattia insorto nei genitori) e, per altro verso, che la scelta di un criterio risarcitorio “ancorato” ai valori tabellari concernenti il danno parentale è dipesa – dichiaratamente- dall’esigenza di evitare una liquidazione arbitraria, ma non è certamente indicativa della volontà di liquidare un danno parentale e di riconoscere il danno solo in relazione alle sofferenze patite per la perdita della figlia.
Deve dunque ritenersi che la Corte non abbia trascurato alcuno dei profili in cui il danno non patrimoniale si è manifestato (che sono stati tutti individuati e specificamente accertati), ma abbia proceduto ad una liquidazione unitaria sulla base di un criterio plausibile e riconoscendo valori monetari comunque atti a costituire adeguato ristoro anche in relazione al danno biologico (di natura psichica) sofferto dai ricorrenti.
Quanto alla denunciata inadeguatezza dell’importo liquidato, la censura non considera che il richiamo alle tabelle relative al danno parentale è stato compiuto dalla Corte Territoriale a titolo meramente orientativo (ossia, come detto, al dichiarato scopo di evitare liquidazioni arbitrarie), giacché nel caso non si trattava, in effetti, di ristorare la perdita di un rapporto parentale causata dall’inadempimento del medico, ma di risarcire il dolore (per una morte verificatasi per cause naturali) che i genitori hanno dovuto affrontare a causa della mancata diagnosi delle malformazioni e della consequenziale mancata interruzione della gravidanza; rispetto a tale pregiudizio, la liquidazione -tutt’altro che irrisoria- costituisce il risultato di un apprezzamento equitativo che non viola norme o criteri giuridici e che non è sindacabile in sede di legittimità (neppure sotto il dedotto profilo della motivazione apparente).
Quanto -infine- alla diversificazione della misura del risarcimento fra i due genitori, la Corte ha tenuto conto della specificità del pregiudizio da risarcire (non la perdita della bambina, ma il dolore di ciascun genitore per il fatto che la madre non fosse stata posta in condizione di interrompere la gravidanza e per il fatto di aver visto nascere, soffrire e morire una figlia malformata), evidenziando ragioni (quali il diretto coinvolgimento della madre nella scelta abortiva preclusa e l’inconscio senso di colpa per le malformazioni del prodotto del concepimento) che ben possono giustificare una liquidazione diversificata per i due genitori, alla luce di un ragionamento probatorio che questa Corte interamente condivide).
Ciò posto, la corte rigetta il ricorso principale e quello incidentale compensando le spese di giudizio tra le parti ritenendo così di fatto congruo il risarcimento del danno da ristoro dato ai genitori della bambina morta.
Dott. Carlo Pisaniello
Comments