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Risarcito infermiere non vaccinato che lavorava senza Green Pass

Ennesima vittoria dell’Associazione Avvocatura Degli Infermieri a favore degli infermieri non vaccinati

Questa volta, in collaborazione sinergica con il COINA, sindacato sempre attivo nella tutela dei diritti a prescindere dal colore politico, un infermiere è stato indagato sul proprio stato vaccinale dal Policlinico Gemelli e, per tramite del medico competente, è stata accertata la sua non regolare posizione vaccinale per cui, lavorando senza green pass, ha posto in pericolo pandemico tutti i pazienti e i colleghi e perciò è stato sospeso senza stipendio per 5 giorni oltre la sospensione di legge finché non si fosse vaccinato.


L’infermiere si è rivolto ad uno studio legale per opporsi a tale sospensione, ma il tribunale ha dato ragione al Policlinico.

È quindi intervenuto l’A.A.D.I. per difendere il dirigente COINA preparando un ricorso straordinario presso la Corte di Appello di Roma e, ripercorrendo gli effetti giuridici dei vari periodi nei quali il D.L. n. 44/2021 è stato più volte modificato ed esaminando i rapporti tra i lavoratori e il datore di lavoro nei vari periodi in cui vigeva l’obbligo vaccinale, è stato dimostrato l’abuso datoriale per i controlli vaccinali effettuati e l’abuso per l’uso dello strumento disciplinare quale sistema di persuasione e punizione. Per ultimo, si è argomentato sulla normativa che tutela la riservatezza sul posto di lavoro.


La Corte di appello ha accolto tutti i motivi formulati, tutti!


La prima questione atteneva alla garanzia prevista dall’ordinamento nazionale a tutela della dignità e della libertà dell’interessato sui luoghi di lavoro (art. 88 Regolamento e 113 Codice) per cui, al datore di lavoro, non è consentito raccogliere, direttamente dagli interessati o indirettamente per tramite del medico competente o dei colleghi, informazioni in merito a tutti gli aspetti relativi alla vaccinazione (art. 9, par. 2, lett. B e 88 Regolamento; art. 113 del Codice; d. lgs. n. 81/2008; Protocollo condiviso di aggiornamento delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus SARS-CoV-2/COVID-19 negli ambienti di lavoro del 6 aprile 2021; art. 5, l. 20.5.1970, n. 300).

La seconda questione riguardava il dato personale.

I dati sensibili (cioè quelli attinenti lo stato di salute del lavoratore) forniti al medico competente andavano, infatti, utilizzati ai fini di una valutazione all’idoneità alle mansioni e non a fini punitivi, avrebbero dovuto rimanere segretati e non comunicati ai vertici ospedalieri (art. 279, 41 e 42 del d.lgs. n.81/2008).

Nella specie, la Fondazione, in assenza di tale comunicazione da parte della A.S.L., non poteva dunque verificare direttamente lo stato vaccinale del lavoratore e-o accertarne la sottoposizione effettiva a vaccinazione mediante acquisizione, parimenti diretta, dei di lui dati personali e-o imponendogli un’informativa sullo stato vaccinale, come avvenuto con le comunicazioni aziendali: l’unica autorità competente ad accertare l’inadempimento all’obbligo vaccinale nel periodo oggetto di causa era la A.S.L. e cioè un ente pubblico obbligato ad agire “nel rispetto delle disposizioni in materia di protezione dei dati personali”.

Al lavoratore, pertanto, per essersi recato al lavoro nel periodo contestato senza essere vaccinato, in assenza dell’apposito accertamento da parte della A.S.L., non poteva essere ascritta alcuna violazione di legge.


È vero che il datore di lavoro è obbligato, a norma dell’art.2087 C.C. (tutela delle condizioni di lavoro), ad adottare le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei lavoratori.

Tuttavia, tra tali misure, previste a tutela delle condizioni di lavoro e quindi previste in via preventiva nell’interesse dei lavoratori, non rientra l’irrogazione di sanzioni disciplinari .


Peraltro, anche l’accertamento sullo stato di vaccinazione da parte dell’Ordine delle Professioni Infermieristiche di Roma non poteva essere posto a fondamento dell’azione disciplinare.

Ed infatti, secondo il principio del “tempus regit actum”, esso non poteva che riguardare le inadempienze verificatesi nel periodo successivo al 21-11-2021, data di entrata in vigore della nuova normativa, dovendosi escludere un accertamento retroattivo riguardante il periodo in cui il relativo potere spettava alla A.S.L..


Per tali motivi con sent. n. 2995 del 20.09.2024 è stata annullata la sanzione disciplinare comminata per aver lavorato senza green pass.

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